La scoperta di se stessi procura molta sofferenza. Nell’altro spesso fuggiamo o cerchiamo semplicemente noi stessi, ma non per portarci all’altro, ma solo egoisticamente.
Dobbiamo eliminare i verbi capire e pensare.. Dovremmo fermarci al verbo percepire..
Percepirsi per possedersi.
Invece usiamo gli altri per rifugiarci, scappando dalla nostra incapacità di possederci e quindi di percepirci.
Occorre profonda interiorizzazione per essere capaci di essere se stessi.
Ci rifuggiamo negli altri per fuggire la solitudine. L’altro non deve fondersi con noi, perché se c’è identificazione si perde l’identità. L’altro non deve servire per esorcizzare tutto il mio malessere. E’ guardando un agonizzante che capiamo tutto il mistero dell’intimità della solitudine dell’uomo. Solitudine e relazione sono i due meridiani dell’uomo. Oggi non abbiamo il tempo di fermarci. Noi vogliamo ripeterci nell’altro. E non rispettiamo l’individualità dell’altro. Si può anche fuggire dentro di sé. Il discernimento nasce quando si è padroni della propria interiorità. Ma possedersi genera sofferenza. Ansia dell’abbandono. Ansia della morte. Ansia del danno dell’immagine pubblica. L’ansietà si nutre della mancanza di senso della vita. L’albero della vita è il proprio mistero. Ansietà: incoerenza esistenziale. Chi ha un obiettivo nella vita è capace di sopportare qualsiasi cosa. Le sofferenze si vincono soltanto se l’uomo ha un ideale.Per un Cristiano il senso della sua vita è Dio stesso. Vivere è fare scelte. La vita Cristiana ti chiede di andare oltre. Chi vive di Gesù Cristo affronterà i fallimenti, ma mai più sarà colpito dall’ansia. Il prender coscienza di sé fa scoppiare il bisogno della relazione. Nel prendere coscienza di sé si creano due tendenze: essere se stesso ed essere per gli altri. Scoprire l’altra parte della nostra vita è importante. Chi non sa aprirsi all’altro non potrà saper pregare. L’interagire è l’entrare in comunicazione. Occorre essere armonia tra corpo e Spirito. San Francesco diceva: “rispettarsi e riverirsi”. Parlava di vita fraterna. Dove riverire significa accogliere il fratello così com’è, -inchinandosi- al suo mistero. Quanto più l’uomo è persona, è identità dunque, tanto più la comunità verrà arricchita. La realtà persona e la realtà comunità non si contrappongono. Nel gioco dell’apertura e dell’accoglienza occorre essere simultaneamente apparizione e integrazione. Eppure in ogni autentica relazione deve esserci una sincera contrapposizione , perché occorre rimanere se stesso. Nell’identificazione invece si perde la propria identità. Una persona matura non domina e non si lascia dominare. La nostra apparizione deve essere costituita dunque da una
opposizione e da una relazione. Opposizione ed implicazione per la scoperta dell’identità personale e sociale. Mi piace riportare questa definizione stringata delle interazioni perché dà spazio per costruire la meta della mia valutazione sull’impegno in difesa dei valori Cristiani:
-la consanguineità è una realtà biologica
-la fraternità (religiosa) è una realtà di affinità psicologica
-la società può e deve diventare
-prossimità
-elemento che ha nel proprio grembo una “ragione di patria”.
La differenza intrinseca tra un gruppo umano ed una comunità evangelica è Gesù. E’ Dio il mistero finale della fraternità evangelica. Dio depose nel cuore umano il seme della fratellanza universale. Vi depose questo seme il cui frutto è l’aspirazione al donarsi, che può nascere negli uomini quando Dio conceda loro la Grazia di scrollarsi di dosso una vita dall’impianto centripeto, rivolta cioè soltanto verso il centro dei propri interessi. .. La lotta dello Spirito che sta alla base di questa aspirazione scaturisce dall’avere sperimentato l’amore del Padre. Nel primo comandamento in realtà il Padre non dice Amami, ma “lasciati amare”. Vivere il Vangelo consiste nello sperimentare l’amore del Padre. Occorre per questo armonizzare tutta la realtà che Dio ci da di vivere. L’esperienza di fraternità (ed io l’ho sperimentato nella mia Fraternità Francescana) può divenire il centro che illumina il resto. Ma la Fede è una lotta s’intenda e questa, che è l’unica consapevolezza certa che ne ho tratto, mi induce a chiarire che questa è la mia intuizione, non certo
una mia conquista. Allora ho compreso che occorre imporre alle reazioni emotive ed alle condizioni naturali, tutte le condizioni della Fede. Occorre una realtà che superi tutte le reazioni emotive. L’attività principale, la nostra vocazione direi.., deve essere di vivere amandosi gli uni gli altri. La fratellanza è la vita di coloro che seguono Dio. Per tal motivo occorre però anche valutare profondamente le nostre relazioni. Occorre vivere l’amore, sapendo che sono i Fratelli che ci vengono messi accanto che ci consentono di vivere l’amore. E credo che l’unica soluzione(difficilissima) in questa società(non meno difficile..) possa essere fare predominare sulle emozioni spontanee le convinzioni della Fede. Altrimenti siamo destinati a cadere nelle tentazioni di alterchi e diatribe continue.. Il motivo che deve dare impulso alla nostra condotta deve essere Dio. Personalmente credo che solo gli atteggiamenti di Gesù , dei Santi, e di coloro che fanno precedere le loro parole dal loro agire possano convincerci. Quindi queste mie righe ovviamente non hanno lo scopo di convincere nessuno, ma soltanto di raccontare quello che a tratti mi pare una certezza della mia vita, ma che spesso tradisco . Il cuore umano è infatti per natura egoista. La vita Cristiana è un cammino di discesa e non di ascesa come nelle mete materialistiche dell’esistenza. Ciò non sta ad indicare un cammino di umiliazioni , ma un cammino di spoliazione, che è cosa ben diversa. Troppo spesso all’uomo non interessa né essere né avere, ma apparire. Tentazione che potrebbe essere anche la mia proprio in questo tempo. E tecnicamente questo sarebbe un desiderio di idolatria. Potrei anche io cadere nella tentazione della categoria dei -frustrati- che hanno la propensione a criticare tutto. Come anche in quella dei -complessati- che hanno nel loro profondo un pezzo di risentimento e per tal motivo sono sempre pronti a criticare tutto; nell’intimo si sentono falliti ed a volte sembrano persino umili, cauti, ma nel momento più impensato estrinsecano la loro carica negativa magari anche semplicemente con il loro mormorio o vittimismo. Queste osservazioni mi hanno indotto a guardarmi dentro ed a vedere quante volte sono stato un frustrato od un complessato.. Ed ho visto anche che le antipatie non sono istintive, ma sono la proiezione dei nostri peccati, che possiamo osservare negli altri.. In tutti i conflitti interpersonali si trova la preoccupazione per la propria immagine. Dio
me ne guardi.. e mi protegga da queste tentazioni che certamente mi coglieranno , ma spero, almeno, non del tutto impreparato.. Credo che ogni azione della nostra vita quotidiana possa poggiare sull’opportunità di conoscere se stessi. Avrei voluto scrivere “debba poggiare”, ma ho riflettuto sulla percentuale di azioni che entrano nelle dinamiche
meccaniche dell’esistenza ed ho mitigato il concetto per onestà intellettuale. Troppe le meccanicità della vita. La nostra è una società difficile.. Forse sarà per questo che siamo tutti sociopatici.. Io amo ripetere la frase “abbiamo tutti disturbi della personalità”. Uno psichiatra mi bacchetterebbe certo, dicendomi che sono andato oltre le righe, ma a me pare che suoni benissimo e che renda altrettanto bene, anche semplicemente intuitivamente, il concetto del nostro disordine mentale e comportamentale. Ho sempre pensato che il problema radicale della stragrande maggioranza delle persone non sia una sostanziale crisi dei valori, quanto forse la scomparsa di una gerarchia etica organica di valori. Gerarchia etica organica … Che frase complessa, ma in realtà descrive semplicemente l’ordine naturale delle cose. Vorrei proporvi la mia lettura metaforica del peccato originale: “Eva si lasciò tentare dalla conoscenza del bene e del male.. e per questo strappò un frutto dell’albero proibito.., perché la mente dell’uomo è predisposta a non assoggettarsi all’ordine naturale dell’istinto che ci era stato donato. Quando ci allontanammo da Dio, quando fummo separati dal peccato originale, abbandonammo l’istinto divino che Dio ci aveva concesso all’atto della creazione, quando Dio creò l’uomo a Sua immagine (Genesi 1,27). Non fu l’istinto di Eva a generare il peccato originale, ma la tentazione del pensiero. Fu attraverso il pensiero che Eva fu condotta a scegliere tra l’obbedienza all’ordine ed il desiderio di acquistare supposta saggezza. Così il serpente la condusse al peccato di rinunciare all’istinto divino, per averlo meditato questo peccato, paradossalmente.. Non essendo più nella purezza del loro istinto , per vergogna si coprirono. Cristo sapeva da quando era in tenera età ciò che avrebbe dovuto fare. Era nel Suo istinto divino. Egli ne aveva l’espressione più alta, poiché Figlio di Dio, della stessa Sostanza del Padre, Generato, non creato. Dio generandolo della stessa Sostanza del Padre gli diede l’istinto che Lo avrebbe condotto ad immolarsi. Cristo stesso in preda allo sconforto sulla Croce disse, Padre, Padre, perché mi hai abbandonato? Eloì, Eloì, Lamà sabactani? Era la ragione.., che per un istante sopraffece l’istinto che Lo avrebbe invece condotto a spirare per noi. Ma la risposta a se
stesso l’avrebbe data pochi istanti dopo, dicendo “ Tutto è compiuto” - “Tetelestai”- . Si era compiuto quello che era nel Suo istinto divino. Nell’istinto divino c’era infatti l’abbandono alla Fede in Dio. Quell’abbandono in Dio che Adamo ed Eva rifiutarono di scegliere come possibilità. Così Dio dovette regalare la Grazia della sofferenza. La sofferenza è il tramite per questa verità di abbandono in Dio. E perché questo fosse comprensibile all’uomo, Dio scelse di soffrire Egli stesso, donandoci il Figlio Suo, perché gli uomini Lo crocifiggessero. Donandoci il Figlio Suo Egli perdonò le nostre colpe abbandonandosi incredibilmente alla Sua stessa fede .. nella nostra redenzione. Il Dio della rivelazione è per questo ai nostri piedi. Perché si è abbandonato all’istinto dell’Amore. L’istinto dell’Amore per cui Egli in principio lasciò libero l’uomo come libero lo lascia adesso. Per questo “Intuitus eum, Amavit” . Riconosciutolo (l’uomo) lo amò, ma anche: Creò l’uomo per istinto, poi lo Amò. Se Cristo sapeva già tutto per istinto, Dio avrebbe invece dovuto spiegarci la verità del nostro istinto attraverso la sofferenza. Ma non lo avrebbe fatto solo con la nostra sofferenza, ma
scegliendo Egli stesso di soffrire col perdono, cioè col dono di Suo Figlio (perdono, per donum..). La sofferenza di Cristo in terra avrebbe mostrato l’istinto divino per cui l’amore è perdono, cioè regalo. Cristo stesso non amò se stesso sopra ogni cosa, né gli uomini amò sopra ogni cosa. Ma Amò il Padre sopra ogni cosa. Così che noi riscoprissimo il nostro istinto divino, amando il Padre sopra ogni cosa ad imitazione di Cristo.” ggg Chi non vorrebbe essere la persona più forte del mondo..? Lo sforzo sta però nell’accettare di essere una persona umana piuttosto che nel sognare di essere invincibile. Bisognerebbe vivere secondo la nostra umanità, quella di cui Cristo ci ha dato insegnamento con le sue opere e semplicemente con l’essere divenuto Uomo.. pronto al sacrificio.
GIOVANNI GIACOBBE GIACOBBE attraverso l’insegnamento dei Frati Minori Rinnovati del Convento della Porziuncola.