Arriva a un tratto il tempo in cui pesare la propria vita. La bilancia però non segna il peso, ma è quella antica, due piatti vuoti : uno a destra ed uno a sinistra. E se un tempo si poggiavano da un lato i pesi fissi, e dall’altro ciò che volevamo realmente pesare, oggi da un lato abbiamo ciò che siamo e dall’altro ciò che abbiamo. Ma pesare ciò che abbiamo non è difficile, basta contare le cose che ci circondano; ma misurare ciò che siamo ? Non trovando strumenti di misura del nostro essere finiamo per misurarci pesando nuovamente ciò che abbiamo.. ed aggiungiamo la nostra posizione sociale che ha un peso “evidente” perché corrisponde in fondo, secondo noi, esattamente a ciò che abbiamo, che possiamo fare o che potremmo fare se solo lo volessimo. La posizione sociale è come la presunzione nell’accezione
giuridica: un assunzione fondata su argomentazioni logiche, ecco perché misuriamo ciò che siamo secondo ciò che possiamo o che potremmo fare. Ma questa possibilità in potenza attiene soltanto la sfera delle possibilità materiali dell’uomo, dunque la sfera produttiva. Così possesso materiale , posizione sociale e potere sono le leggi che regolano le misure dell’essere ormai. Che grande inganno.. E’ come se tutto si riducesse alle conquiste terrene dacché lo scopo di questa vita consisterebbe proprio nella vita stessa. E la frase forse tecnicamente ineccepibile “abbiamo una vita soltanto” è la prima deriva di un certo tipo di nichilismo morale che è il muro invalicabile eretto per non farci scorgere le responsabilità verso il raggiungimento del vero disegno dell’ Uomo. Quale sia il vero disegno dell’Uomo appare però fulgidamente soltanto davanti ai drammi della caducità della nostra vita, quando essa si mostra realmente in tutta la sua meravigliosa fragilità, forse proprio perché chi resta.. possa sentire il monito di doverne scoprire la vera essenza. Cosa vuol dire Uomo? Imperatori e Papi si sono succeduti senza che nulla di ciò
che possano aver fatto , e aggiungo neppure il loro nome persino, oggi risuoni nella nostra mente. Dunque forse Uomo non è il gradino della posizione sociale a cui giungono alcuni. Possesso materiale allora? Credo che due esperienze per tutte, probabilmente note ai più, quali le vite di uomini come Steve Jobs e Giovannino Agnelli, abbiano mostrato come, quando il destino segna la fine, non ci sia possesso materiale che possa cambiare i disegni delle esistenze terrene. Allora cos’è l’Uomo? -Potere-, allora? Recita un proverbio Cinese “Se vinci gli altri sei potente, ma se vinci te stesso sei invincibile”. Allora il potere reale sarebbe su se stessi? Sarà vero? Per rispondere scelgo, pur con deferenza, di portare ad esempio un confronto che lungi dallo sminuire alcuno, vuol solo mostrare il senso di una vita fatta di scelte che abbiano trasformato l’avere in essere e mi domando: di chi abbiamo impressa la conoscenza di
Onorio III o di Francesco D’Assisi? Papi, Imperatori o grandi magnati possono avere avuto ogni potere ma spesso potrebbe magari essere loro sfuggito di vivere cercando di “essere” ..oltre ogni avere. Torniamo per un istante a Francesco D’Assisi. Quali ricchezze materiali produsse Santo Francesco? Nulla di materiale se si eccettua un Ordine Religioso che per altro visse e vive ancora oggi nei più strenui difensori della “regola di Francesco”, proprio della rinuncia alla materialità.. E quale fu la Sua posizione sociale? Se possibile questa risposta è ancora più semplice.. l’ultimo tra gli ultimi.. Quale potere ebbe Francesco, le cui uniche gesta alla ricerca della gloria terrena ce lo restituiscono notoriamente affranto, far ritorno ad Assisi, da Cavaliere sconfitto. Eppure in un solo verso scrisse tutto il Suo immenso potere su se stesso..: arrivò a concepire “ Sora nostra Morte Corporale”. Ebbene non fu potente secondo gli uomini , scelse di essere ultimo tra gli ultimi nella scala sociale, non produsse che desiderio di povertà in altri dolci folli come Lui, ma chi penserebbe di non attribuire a Francesco D’Assisi la Santità del Suo essere, la regalità della Sua essenza? Allora forse, Francesco ci dona il senso di come si possa essere l’eccezione a quella regola che pesa l’essere con la stessa misura dell’avere. Ora, poiché io mi rivolgo a tutti, ma proprio tutti, laici , religiosi , atei od agnostici, s’intenda che l’esempio di Francesco è soltanto il più vicino a me, poiché si è intrecciato con il disegno della mia vita, ma ciò vuol dire semplicemente che ognuno di noi potrebbe fare il proprio esempio di Uomini il cui essere abbia consegnato alla memoria un impronta assai maggiore del proprio stesso avere. Oggi viviamo allo sbando. Ogni nostro giorno è incentrato su temi che certo sono contingenti poiché non certo l’essere.. paga il mutuo o le bollette.. E dunque poiché l’essere non paga nulla, in terra aggiungo io, la sostanza è che una generale crisi valoriale ha generato il concetto che “ tanto l’essere non paga..” E ciò taglia purtroppo trasversalmente tutta la società in ogni sua classe o schiera, così che coloro che siano scevri dalla deriva della ricerca del valore dell’avere come obiettivo dell’esistenza, non debbano per forza essere addirittura Uomini Santi ma siano almeno Uomini rari. Cercare l’essere oltre l’avere credo non sia un’esperienza soltanto meditativa di concezione Buddista magari. Per certo occorre però partire dal lavoro interiore per generare in noi la spinta verso gli altri invero. Il terreno del bene comune ha in realtà l’accesso entro il terreno della nostra interiorità; nell’interiorizzazione del valore dell’altro c’è la base perché la nostra vita non sia una qualunque vita, proprio seguendo lo scopo di far sì che ..ogni vita non sia una vita qualunque. Dire che la politica nel senso Aristotelico avrebbe proprio l’identico senso cioè perseguire il bene comune , oggi appare un irridente sarcasmo. Invece politica sembra piuttosto scaturire dal senso ambiguo di poli-etica nel senso di “morali più disparate” tanto per usare solo un eufemismo.. Ma d’altronde se gli Uomini che cercano l’essere oltre il proprio avere sono rari, con quale speranza potremmo pensare che siano statisticamente più numerosi nel mondo politico? Saremmo degli illusi, se non addirittura potremmo affermare che sarebbe stolto semplicemente pensarlo forse. Ma questo, ha trasformato, in molte coscienze, la disillusione in disincanto. E’ questo disincanto che ha portato ad
esempio all’approdo nichilista di più della metà del popolo di Sicilia che ha scelto di non votare; non è stata incuria infatti, e neppure sdegno trasformatosi in dissenso passivo, ma ciò che è successo è che più della metà del popolo Siciliano semplicemente non si sia sentito rappresentato non già dalla coscienza morale dei singoli candidati in verità, ma dalla coscienza morale dell’intero sistema . Per metà del popolo Siciliano la politica semplicemente non esiste più. E’ morta. Così metà del popolo Siciliano si è rinchiusa nel proprio spazio, con la scelta attiva (in realtà) di chiudere gli occhi innanzi tutto su noi stessi, trincerandoci dietro la supposta piccolezza ed irrilevanza dei nostri gesti, in un macrosistema degenerato. Questi uomini si sono arresi all’idea di vivere una vita qualunque rifugiandosi in una scelta forse comprensibile, ma che suona come l’essersi tappati il naso per non sentire l’odore nauseabondo della putrescenza del sistema. Ma questo non ha coinciso con una scelta di libertà! Questo vorrei dire a tutti i Siciliani. Libertà è far rivivere ciò che è morto dentro ognuno di noi. Possiamo far rivivere la fiducia. Possiamo prendere il timone della nostra barca. Tra i due milioni che hanno scelto di dare per morta la politica nell’esperienza partitica che ci ha condotto sino a questo punto, vi sono certamente anche molti il cui senso etico cerca un nuovo contenitore politico dove esprimere il valore della dignità umana attraverso la coesione negli ideali dell’essere. Uomini coscienti che la vita non sia un salvadanaio nel quale conservare tutte le acquisizioni materiali che costituiscano il nostro avere, ma ,caso mai, un salvadanaio dove raccoglieremo ciò che abbiamo messo per il bene di tutti e che chiameremo il nostro
Giovanni Giacobbe Giacobbe